Nel “Foglio volante” di settembre 2009, un numero piú ampio del solito compaiono scritti di Giorgio Bàrberi Squarotti, Paolo Battista, Roberto Bettero, Aurelia Bogo, Loretta Bonucci, Enzo Bonventre, Mariano Coreno, Carla D’Alessandro, Rossana D’Angelo, Lino Di Stefano, Albert Einstein, Vito Faiuolo, Alessandra Ferrari, Amerigo Iannacone, Maria Pina Iannuzzi, Pietro La Genga, Tiberio La Rocca, Pierangelo Marini, Avni Muça, Silvana Poccioni, Nicola Rampin, Sara Rodolao, Anna Ruotolo, Daniele Sardone, Nat Scammanca, Carina Spurio, Giuseppe Tadolini, Maria Luisa Toffanin.
Riporto qui, di seguito, un mio breve testo, dalla rubrica “Appunti e spunti” (ma purtroppo non sono tanto bravo con Internet e i corsivi non mi vengono).
Accenti: una storia infinita
Un’antica questione: sí affermazione, dal latino sic est, va scritto sempre con l’accento (che, se vogliamo essere precisi, dovrebbe essere acuto perché il suono è chiuso). Ma otto volte su dieci lo troviamo scritto senza accento. A chi mai è capitato di vedere durante la campagna per i referendum di vedere un sí con l’accento? Nemmeno sulle schede elettorali: molto, infatti, fanno anche le istituzioni per farci restare ignoranti.
I monosillabi con l’accento in realtà sono pochissimi: oltre al sí, troviamo dí nel significato di giorno (ma, attenzione, l’imperativo del verbo dire, è di’ con l’apostrofo e non con l’accento: di’ la tua); là e lí, avverbi di luogo; né negazione, ché (in senso causale o finale, cioè quando sostituisce perché, esempio: non dire nulla, ché non ho voglia di ascoltare); dà, indicativo del verbo dare (ma l’imperativo è da’), esempio: Antonio dà poca importanza a quello che vede); piú, giú, e qualcun altro.
Poi c’è il pronome sé, per il quale vorrei spendere qualche parola in piú. Alcuni grammatici sostengono che quando è seguito da stesso e medesimo, non vuole l’accento, perché, dicono, in questi casi non c’è possibilità di confondere con se congiunzione. Qualcuno poi, di quelli che spaccano il capello, aggiunge che però l’accento va recuperato al plurale sé stessi, perché in questo caso potrebbe confondersi con il congiuntivo del verso stare (se stessi facendo qualcosa di male…).
Ma la verità è che una volta stabilito che una parola ha l’accento, sempre con l’accento va scritta, perché se si dovesse mettere soltanto quando c’è ambiguità, potremmo omettere l’accento nove volte su dieci. Se scrivessimo verita, gioventu, affinche, finiro, anziché le corrette verità, gioventú, affinché, finirò, con che cosa mai si potrebbero confondere? Ma anche se scrivessimo calamità, però, farò senza gli accenti, praticamente mai potremmo confondere con calamita, pero, faro, perché è il contesto che ci fa capire di che stiamo parlando.
Ma quella degli accenti è una storia infinita: torneremo a parlarne.
31 09amTue, 15 Sep 2009 10:09:09 +00002572009 2008 alle 21,41 |
carissimo prof. Iannaccone
ho visto che ha pubblicato un’altra delle mie poesie: è molto gentile e spero di continuare questa bella collaborazione.
grazie
paolo battista